Rionero in Vulture Rionero in Vulture

 

Leggere migliora la vita. Dalla quarta di copertina:
"Carmine Crocco nasce nel 1830 a Rionero in Vulture, una cittadina nel nord Basilicata, e muore nel 1905 nel bagno penale di Portoferraio.
Avrebbe potuto essere un onesto contadino timorato di Dio, con una moglie devota e figli affezionati. Avrebbe potuto condurre una vita tutto sommato serena, seppur nel limitato spazio di felicità concesso in quel tempo ai “cafoni”.
Ma la storia ha serbato per lui ben altro destino.
Come il mare alterna stati di calma piatta a mare mosso, così la storia presenta, ciclicamente, le sue burrasche. E tale è stata per il Meridione il passaggio dalla dinastia Borbonica a quella Sabauda. 
Questo snodo storico, fatalmente, segna l’esistenza di Crocco, uomo dal carattere forte, irruento, non rassegnato a piegarsi alle ingiustizie. Costretto a fare scelte difficili fino a farlo diventare Generale di una temutissima banda brigantesca.
Il famoso capo brigante per molti ha rappresentato l’idea di una rivolta sociale nelle campagne di Basilicata e incarnato magistralmente il prototipo del bandito sociale. Giudicato malfattore dall’autorità costituita, ritenuto eroe dalla propria gente.
Negli ultimi anni della sua vita, condannato prima a morte e poi all’ergastolo, ha vergato la sua autobiografia, stampata per la prima volta nel 1903. Un racconto talmente entusiasmante che merita di essere riproposto. Uno scritto che vi farà godere del fantastico spettacolo della storia stando comodamente seduti in prima fila".

 

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Pro Loco Tolve 6 Agosto  Dalle ore 18:00, con punto di raccolta in Via Marsala, cominceranno le visite "nella vita del brigante", che partiranno ogni quarto d'ora. Alle ore 21:00 ai piedi del Santuario di San Rocco si svolgerà un avvincente spettacolo, che sarà replicato alle 22:30. CI SARÀ POSTO PER TUTTI????...... Pro Loco Tolve 6 Agosto Dalle ore 18:00, con punto di raccolta in Via Marsala, cominceranno le visite "nella vita del brigante", che partiranno ogni quarto d'ora. Alle ore 21:00 ai piedi del Santuario di San Rocco si svolgerà un avvincente spettacolo, che sarà replicato alle 22:30. CI SARÀ POSTO PER TUTTI????......

Manifestazione Montemiletto (AV) 04/08/2017

Nova Siri 2016

Briganti & Brigantesse Briganti & Brigantesse

 

 

 

UN MITO

Sull' ombra di una storia

conciata male

si legge della figura

di don Carmine,

in un paese dove l'uso

diventa abuso,

darlo per la libertà

eppure giusto.

Brigante.........perchè

ribelle...........per chi

Se lo sguardo è fisso

è solo da una parte,

dalle canne pulite,

dai spari rimbombanti

freschi di foresta,

dall'unica strada maestra

dei capi tiranni

di un piemonte,

delle giuste promesse

del Dio povero

schierato

dal lato sbagliato

del pane appena sfornato

e già duro,

nelle ragioni del genio

la giustizia prepotente

di chi fa legge

e nel dialetto della fame,

Don Carmine Donatelli,

detto Crocco

per gli altri.

(Nino Asquino)

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Nato il 5 giugno 1830 a Rionero in Vulture(Potenza).
Da umile contadino in pochi anni divenne comandante di un esercito con più di duemila uomini, tra le sue fila le bande che aggivano nei territori del vulture melfese, Irpinia, Terra di Bari e Capitanata. Le sue azioni da guerrigliero si svolsero anche nei territori del Molise, nelle zone di Avellino, del Foggiano e del Salento. Per la consistenza del suo esercito fece della Basilicata il cuore della rivolta antisabauda e si guadagnò l'appellativo di Generale dei Briganti
Ancora oggi è ricordato come il più rappresentativo Brigante del periodo risorgimentale.

Rionero in Vulture era un paese che contava circa 10000 abitanti quando naque Carmine Crocco. Suo padre Francesco era un pastore che operava presso la nobile famiglia venosina di don Nicola Santangelo mentre sua madre, Maria Gerarda Santomauro, era una massaia. Carmine era il secondo di cinque figli, Donato, Antonio, Marco e Rosina. Carmine e i suoi fratelli vissero un'infanzia piuttosto serena nonostante le condizioni famigliari di povertà. Grazie allo zio Martino, un ex sergente maggiore di artiglieria (aveva perso la gamba sinistra per una palla di cannone nell'assedio di Saragozza, durante la Guerra d'indipendenza spagnola) gli imparò a leggere e a scrivere. Lo zio Martino non si limitò alla solo istruzione del giovane nipote ma lo fece crescere con le sue personali storie di guerra che lasciarono un segno forte nella vita del giovane Carmine. Nel 1836, a Carmine, un episodio segnò per sempre la sua vita e quella della sua famiglia. Una mattinata di aprile, come tante altre, inspiegabilmente nella casa dei Crocco entrò un cane levriero che afferro per il un coniglio e lo trascinò fuori per poi sbranarlo. Fu proprio in quello stesso istante che il fratello Donato uccise il cane con un grosso bastone. Quel cane morto vicino alla dimora dei Crocco apparteneva ad un ricco signore del posto di nome don Vincenzo, il quale dopo aver trovato l'animale morto picchiò violentemente Donato con un frustino. La madre Maria, era incinta di cinque mesi, ma si frappose tra quel don e suo figlio, subendo un forte calcio al ventre che la costrinse ad una lunga degenza a letto anche se costretta ad abortire. Dopo pochi giorni ci fu un tentato omicidio con un'arma da fuoco ai danni di don Vincenzo, il quele accusò dal giudice il padre di Carmine. Per il padre, Francesco, si aprirono le porte del carcere di Potenza. Carmine cresceva e con lui iniziò sempre più a maturate un istinto ribelle contro i ricchi e i potenti, perchè la madre era avvilita per la perdita del figlio e del marito ancora in carcere, cadde in una grande e profonda depressione che la portò alla pazzia (fu rinchiusa in manicomio). Per poter mandare avanti la famiglia, furono vendute i loro modestissimi beni e i figli affidati ad altri parenti. Con il padre in carcere e una madre incapace di capire, Carmine e suo fratello Donato furono mandati a lavorare come pastori in Puglia. Solo due anni dopo si riuscì a fare piena luce sull' accaduto del tentato omicidio, un anziano del posto rivelò in punto di morte di esser stato lui l'autore del tentato omicidio. Ma tali eventi si erano ormai abbattuti prepotentemente sulla vita del giovane e con esse anche il disprezzo nei confronti della società in cui viveva. Nel 1845, all'età di quindici anni, Carmine salvò la vita a don Giovanni Aquilecchia di Atella, un nobile della zona che cercava di attraversare le acque dell'Ofanto in piena. Come compenso per il suo eroico gesto, Aquilecchia, regalò 50 ducati al coraggioso Crocco e permise anche la scarcerazione del padre tramite don Pietro Ginistrelli, un uomo importante ed influente. Tornato a casa, Crocco, si ritrovò con un padre vecchio e malato e una famiglia da mandare avanti, proprio per questo iniziò a lavorare come contadino presso la masseria di don Biagio Lovaglio a Rionero. Una mattino di maggio del 1847, Carmine conobbe Ferdinando, figlio di don Vincenzo colui che assalì suo fratello e sua madre. Don Ferdinando apparve diverso dal genitore e si mostrò onesto a ripagare, il male che il padre aveva arrecato alla famiglia Crocco, con l'offrire a Carmine il posto di fattore in una masseria. Carmine apprezzo il tutto ma preferì avere in affitto tre tumuli di terra, con i quali sperava di guadagnare 200 scudi per evitare il servizio militare, visto che sotto il Regno delle Due Sicilie la leva era riscattabile dietro un pagamento alle casse statali. All'accordo tra Carmine e Ferdinando si vanificò perchè quest'ultimo venne trucidato da alcuni soldati svizzeri a Napoli il 15 maggio 1848. Così Carmine si ritrovò nell'esercito di Ferdinando II di Borbone, nel primo reggimento d'artiglieria, prima nella guarnigione di Palermo e poi di Gaeta. L'esperienza militare non durò per molto, poiché Crocco fu costretto a disertare dopo aver ucciso un commilitone.Con la sua partenza, fu la sorella Rosina, non ancora diciottenne, ad avere il compito di mantenere la famiglia. Rosina, rimasta in casa a lavorare per tante ore al giorno, ricevette continue proposte da un uomo invaghito di lei, un certo don Peppino Carli. La ragazza, completamente disinteressata, gli mostrò sempre indifferenza e lui, non sopportando i suoi continui rifiuti, le sfregiò il viso e andò in giro a diffamarla. Rosina, scioccata e colta dalla disperazione, fuggì dai parenti per invocare protezione e aiuto. Carmine seppe dell'accaduto e, furibondo, volle riparare il torto subito da sua sorella. Conoscendo le abitudini di don Peppino, che generalmente frequentava un circolo per giocare d'azzardo nelle ore serali, attese il ritorno del signorotto davanti la sua abitazione. Al suo arrivo, Crocco gli domandò il perché del suo gesto nei confronti della sorella, dandogli del "mascalzone". Don Peppino non tollerò l'aggettivo attribuitogli e gli diede un colpo di frustino in viso. Colto dall'ira, Carmine estrasse un coltello e lo uccise. Compiuto l'assassinio, fu costretto alla fuga e ad abbandonare il servizio militare, trovando rifugio nel bosco di Forenza, posto in cui era facile trovare altre persone con guai giudiziari. Lo storico Ettore Cinnella sostiene nel suo saggio su Crocco, che questa vicenda del delitto d'onore per vendicare la sorella sia priva di fondamento, nonostante essa sia ripetuta in molte biografie, e fin dal 1903 Massa avrebbe dimostrato che a Rionero non ci fu nessun omicidio all’epoca e nelle circostanze descritte dal brigante. Fu in questo periodo che iniziò ad avere i primi contatti con altri fuorilegge che, in futuro, sarebbero stati suoi sottoposti contro i sabaudi, come Giuseppe "Ninco Nanco" Summa e Vincenzo "Staccone" Mastronardi, costituendo una banda armata che visse di rapine e furti. Tornato a Rionero, Carmine fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di Brindisi il 13 ottobre 1855, ricevendo una condanna di 19 anni di carcere. Il 13 dicembre 1859 riuscì ad evadere, nascondendosi nei boschi di Monticchio.Scappato dal carcere, Carmine venne a sapere tramite don Decio Lordi, sottoprefetto di Melfi, che Giuseppe Garibaldi avrebbe fatto concedere la grazia ai soldati disertori che appoggiassero la sua campagna militare contro i Borboni (Spedizione dei Mille). Aderì quindi ai moti liberali il 17 agosto 1860, divenendo capo di un cospicuo numero di combattenti. Crocco e i suoi uomini seguirono Garibaldi fino a Napoli, partecipando anche alla celebre battaglia del Volturno. Tornato vittorioso, Crocco si recò a Potenza dal governatore Giacinto Albini, il quale assicurò che l'amnistia sarebbe stata acconsentita. In realtà, le cose andarono in direzione opposta: Carmine non ricevette la grazia e fu arrestato.